Senza Agnès Varda
(Foto dal film Visages, villages)
Non riesco a crederci. Agnès Varda è morta. È partita per l’ultimo viaggio. Se n’è andata nell’altra stanza, quella di agostiniana memoria.
Altri ricorderanno con più precisione i premi e i primati che questa eccezionale artista (regista, sceneggiatrice, fotografa) ha avuto. Ricorderanno con quella lucidità che, appena appresa la notizia della sua scomparsa da una grande “guardatrice” di cinema, al momento io proprio non ho.
Non riesco nemmeno a dire della sua potente e singolare vicinanza a quella Nouvelle Vague dei Godard e dei Truffault, dei Rohmer e degli Chabrol che ispirò una miriade di registi contemporanei e successivi. Del suo segno personalissimo. Della sua sensibilissima irriverenza. Del suo sodalizio con Jacques Demy, suo marito. Dei tre toccanti film a lui dedicati. Dei suoi sorprendenti documentari. Delle sue innovazioni. Della sua sovrana ed incomprabile libertà.
Non riesco a dire e a descrivere l’incidenza della sua filmografia nella storia del cinema tout court e nella mia personalissima vita.
No, non riesco a dire. Ma le immagini, le immagini per fortuna – e come sempre – mi vengono in soccorso… ed ecco, allora, scorrere nella mia mente le campagne desolate e gelide del sud della Francia, in inverno, dove viene rinvenuto il cadavere di una giovane donna. Morta assiderata. Chi è questa donna? Che cosa le è successo?
Era il 1985 e quei fotogrammi folgorarono la mia esistenza di giovane, giovanissima spettatrice ed ancora più giovane scrittrice in formazione (che poi significa scrittrice nella scoperta di sé).
La storia di questa giovane donna viene ricostruita da coloro che, casualmente, l’hanno incontrata in quello che sarebbe stato il suo ultimo tratto di vita. A poco a poco si delinea il ritratto di Mona Bergeron, una giovane ribelle e coraggiosa, l’indimenticabile senza tetto né legge (sans toit ni loi) incarnata da una lacerante Sandrine Bonnaire il cui malessere era percepibile perfino dalla punta dei capelli.
Oh, quanto ho amato Mona! Insofferente alle regole ed alle manipolazioni. Incapace, nel suo bisogno di libertà estrema, di riconoscere perfino chi avrebbe potuto offrirle un aiuto disinteressato. Era una camminatrice infaticabile. Un’indomabile. Un’irriconciliata. Era una che alla domanda (stupida):«Perché hai abbandonato tutto?», rispondeva prontamente:«Meglio la strada e lo champagne».
Indomabile, irriconciliata e giovanissima (intendo freschissima) era la stessa Agnès Varda. A lei va la mia più alta gratitudine di spettatrice, di scrittrice, di donna nella sua interezza più compiuta.
Maria Antonietta Nardone © Tutti i diritti riservati