Un'Algeria onirica
L’Algeria è un paese che sorprende per la varietà della sua storia e dei suoi paesaggi. Algeri, “la città bianca”, che si affaccia su una grande e luminosa baia, ha vie centrali dove spiccano le facciate coloniali francesi tanto che sembra di essere in una grande città del Mediterraneo come Marsiglia piuttosto che in una capitale del Nordafrica come Il Cairo. Insomma, ha un aspetto europeo nonostante la casbah, il suk, i palazzi degli Ammiragli e il bastione 23, un raffinatissimo esempio di architettura ottomana.
La parte orientale del paese vanta i resti di città romane come Djemila e Timgad, ricche di preziosi mosaici conservati in sale adiacenti ai siti che nulla hanno da invidiare a mosaici più blasonati. Si cammina per il decumano, si arriva al foro, si oltrepassa il grande Arco di Traiano, si ammira l’anfiteatro, si scende per il cardo; se non fosse per il paesaggio circostante, potrei quasi dire di passeggiare per i Fori Imperiali a Roma. Sulla strada per Biskra, ci sono le gole di Ghoufi, un vero e proprio canyon con il fiume che scorre sul fondo e le imponenti montagne che lo circondano. Procedendo verso Touggourt, si profila un lago salato solcato da una miriade di fenicotteri rosa. A Touggourt ci si imbatte nella Zaouia Tidjana, il complesso di ricerca e spiritualità sufi che contiene una moschea, una madrasa (scuola coranica), la tomba del santo El Hadj Ali e la sala delle preghiera. Scendendo verso Ouargla si entra nel Grand Erg Orientale, il cuore del Sahara, dove a dominare sono distese chilometriche di un deserto basso e semiroccioso oppure le alte dune che cambiano continuamente forma e luogo, ricomposte e spostate come sono dal vento che soffia senza sosta.
Finché non si arriva nella valle dello M’Zab dove sorgono le cinque città fortificate (Ghardaia, El Atteuf, Beni Isguen, Melika, Bou Noura) costruite tutte attorno alla moschea e dove il minareto fungeva da torretta di guardia. I mozabiti sono ibaditi (una corrente dell’Islam) e ci tengono a sottolineare l’aspetto pacifico della loro fede. E qui, tra tutto questo ocra e cielo, verdi palmeti e nuvole bianche sembra di ritornare, improvvisamente, all’XI secolo e alla vita tradizionale dei berberi. Le donne sposate vanno in giro per gli stretti vicoli di Beni Isguen avvolte in un unico telo bianco che le copre dalla testa alle caviglie, lasciando scoperto un occhio solo. Gli uomini indossano una lunga tunica bianca o grigia ed uno zucchetto bianco o grigio. Molti hanno la classica barba lunga e incolta, segno distintivo del loro fervore religioso. Si può incontrare anche qualche uomo sul dorso di un asino o che trasporta merce su un carretto. I bambini scorrazzano liberi ed allegri per le vie o tirano calci ad un pallone nello spiazzo davanti ad una torretta di guardia – ah, il potere aggregante ed irresistibile di un pallone di calcio!
Qui si è in un mondo a parte, dove vige un consiglio dei saggi della comunità e dove, fino a poco tempo fa, le città chiudevano la sera le loro porte d’ingresso.
Nella scelta delle fotografie da pubblicare qui sotto, ai colori netti scolpiti dal sole accecante del deserto ho preferito mostrare ed esprimere il lato onirico di questo paese e di questo mio viaggio.
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Ringrazio di cuore Omar Bakelli per la sapienza che ha voluto condividere con noi, ma soprattutto per la sua pazienza. E grazie anche ad Abdennour Chaib e a Rezky Sadani per il loro lavoro, sempre efficiente e discreto.
Donna di Melika (Melika – Algeria, novembre 2019)
A dorso d’asino (Takassim – Algeria, novembre 2019)
Nella casbah di Algeri (Algeri – Algeria, novembre 2019)
Donne di Beni Isguen (Beni Isguen – Algeria, novembre 2019)
Giovane (Tamelhat – Algeria, novembre 2019)
Uomo che prega (Ghardaia – Algeria, novembre 2019)
Scendere col bastone nella casbah di Algeri (Algeri – Algeria, novembre 2019)
Maria Antonietta Nardone © Tutti i diritti riservati
Donna di Melika (Melika – Algeria, novembre 2019)