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Maria Antonietta Nardone

Ai funerali di Elsa Morante


(Foto presa dal web)





Elsa Morante morì il 25 novembre 1985.

Qui sotto la parte finale del mio racconto L’astronave telefonica (contenuto nel libro Camere e frontiere) in cui vengono rievocati i suoi funerali nella Chiesa di Santa Maria del Popolo, a Piazza del Popolo, a Roma.

Ero lì.

 

*

 

La mia anima, costretta nella quotidianità più spicciola, vive comunque, ma a volte questa “calata” nella realtà è percepita come una tortura. La mia anima, che vola alto, e che ora deve badare a che l’acqua per i piatti non fuoriesca dalla bacinella mentre sgrullo la tovaglia dal balcone. La mia anima che immagina di ascoltare l’aria sulla quarta  – o sesta? – corda di Bach mentre immerge le mani guantate nella schiuma dei piatti. Rimuovi, strofina, sciacqua ma nel profondo del mio cuore quella musica io sento.

   Daria si immette così in un altro flusso, in un’altra armonia.

   Oggi, undici maggio, è il compleanno di un mio amico. O meglio, era il compleanno dacché Tino è morto ormai cinque anni fa. E in un soprassalto della fantasia, un soprassalto davvero bizzarro, si trova a rievocare un giorno lontanissimo, un giorno di quindici anni fa. Il giorno in cui, poco più che ventenne, oscurissima scrittrice in erba, si recò, per un tributo morale, ai funerali di Elsa Morante. E ricorda il dolore spandente quando apprese la notizia della sua morte. Risente quel morso tenace allo stomaco, quel lutto nel cuore. Rivede se stessa comprare tutti i quotidiani più rinomati della penisola e ritagliare le pagine intere dedicate a quest’immensa scrittrice, la “barbara divina”. Credeva forse, con quel gesto di raccoglimento, di procastinare la dipartita definitiva di una narratrice da lei amatissima, oppure solo di arginare un dolore che era esploso inesorabile ed intrattabile? È come se avesse ancora davanti agli occhi le fotografie che ritraevano quella donna nelle diverse età della sua vita fino agli ultimi scatti che ripropongono una signora anziana, dai capelli interamente bianchi, dal corpo un po’ appesantito, ma dallo sguardo vitalissimo e maestoso.

   Guarda e riguarda le foto, la Daria poco più che ventenne, per trattenere e sigillare nell’animo la gratitudine che ella prova per una scrittrice la cui opera ha aperto la strada alla sua vocazione, i cui romanzi hanno rivelato Daria a se stessa. È per questa gratitudine e per la sofferenza che ne è scaturita che lei, ritrosa e riservata quant’altri mai, decide di andare comunque ai suoi funerali. E si accorda proprio con Tino, l’amico complice di tante avventure. Stabiliscono di andarci insieme. Ci sono nuvole grigiaste, quel mattino di novembre, ma un caldo quasi afoso riempie tutta l’aria cittadina. Mentre percorrono in macchina il Lungotevere, si stupisce che la città non partecipi ad una perdita così grave e così grande. Davanti alla Chiesa di Santa Maria del Popolo, sparuti individui, dal volto malinconico e pallido, salgono lentamente le scalette esterne. Daria, in jeans e camicia, un giacchetto in mano, si unisce a quegli sconosciuti e sale anche lei le scale che portano all’ingresso. Dentro, una folla sovrastata da un mormorio costante attende l’inizio della cerimonia funebre. Ella avanza a passi silenziosi e leggeri nella navata di destra. Si sistema ad un banco, ma le voci importune di alcuni vicini, che sembrano non avere alcuna intenzione di cessare, la spingono fuori dai banchi. Si pone accanto ad una grande colonna, che la nasconde e la protegge; che le permette, soprattutto, di accogliere quei momenti rimanendo concentrata in se stessa e nelle sue emozioni, senza voci aliene ed esteriori ad interromperne il flusso. Da qui assisterà a tutta la funzione religiosa. Lampeggiano per le arcate superiori i flashes dei fotografi, che colpiscono il feretro e la fila del banco dove siedono, affranti e piangenti, le persone più care della defunta e alla defunta. Lampi di luce, lampi di luce indiscreta e superficiale, accendono ad intermittenza l’interno della chiesa, ma Daria sa che la signora Morante ha conosciuto ben altra luce, e che questa artificiale non la può più disturbare.

   Comincia la funzione. Il sacerdote parla, celebra, pronuncia le note formule di rito presenti in un funerale cattolico. Daria, col braccio appoggiato alla colonna, trattiene in gola il suo pianto, reingoia il suo dolore quando sono velocemente ripercorse le incredibili sofferenze, psichiche e fisiche, che hanno afflitto gli ultimi anni di questa scrittrice ai suoi occhi inarrivabile. Non sente i sussurri dei curiosi che nominano ed indicano alcune persone celebri presenti alla messa. Daria non li sente. Ad un tratto, è la musica dell’organo a zittire i più ciarlieri ed irrispettosi. L’organo che spande nell’aria le note inconfondibili di un brano della Passione secondo Matteo di Johann Sebastian Bach. E mentre la musica raggiunge gli angoli più riposti della sala, purificando tutto e tutti, affreschi e uomini, sculture ed arredi, Daria immagina che Elisa ed Arturo, Ida ed Aracoeli, Manuel e Nino, sfilino davanti al feretro, posando una mano sulla gamba, in segno di saluto e di riconoscenza. Sfilano tutti, silenziosi, assorti, con un sorriso indecifrabile a contornarne la bocca. Per ultimi avanzano Daniele Segre, che tiene in braccio Useppe, e dietro a loro, mogia mogia sgambetta Bella. Useppe, incapace di accogliere la morte con la deferente consapevolezza di un adulto, si sporge verso la salma e schiocca alla sua creatrice un sonoro bacio sulla guancia. – È questo il saluto più bello – pensa Daria. E allora «Buonanotte, dolce principessa, le schiere d’angeli ti conducano cantando al tuo riposo».

   La messa è finita. I presenti defluiscono piano. Fuori dalla chiesa, un sole opaco si è fatto finalmente spazio fra le nuvole. Daria guarda i tanti volti che sbucano dall’oscurità del portone. Quanti giovani, quanti giovani ci sono!

   – Cette jeune-fille c’êtais moi.

   E se con la scrittura, le immagini e i movimenti della mia anima più autentica non vanno perduti, allora sarà scrittura. Sarà racconto.

 

(2000)

 

(da Camere e frontiere, Cromografica Roma - 2009)

 

 

 

 


Maria Antonietta Nardone © Tutti i diritti riservati

 

 



(Foto presa dal web)

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