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Maria Antonietta Nardone

Gioco al massacro


(Foto della locandina presa dal web)


GRASSA E VIVA

testo di Miranda Angeli – liberamente ispirato a Creditori di August Strindberg

regia di Christian Angeli e Maria Gorgoglione

con Alessia Filiberti, Andrea Lami, Roberto Scorza

Teatro Lo Spazio - Roma


Grassa e viva è uno spettacolo che ha momenti di grande intensità alternati ad altri meno intensi. Tekla, una donna dalle curve tonde, modella e musa del fotografo Adolf, suo attuale marito, ha conquistato successo e notorietà mentre si appresta a pubblicare un libro autobiografico. Insomma, sembrerebbe una donna realizzata. La relazione con Adolf è forte e traballante allo stesso tempo. Ossessioni di possesso esclusivo, gelosie incontrollabili, invidia della luce altrui che si scarica con insulti o parole di indotta disistima di sé attraversano la loro esistenza insieme. Nella suite d’albergo in cui la coppia vive irrompe Gustav che si trova a raccogliere le confidenze di Adolf. Ma chi è in realtà Gustav? È il primo marito di Tekla. È l’elemento terzo che si inserisce in un inferno coniugale e lo fa esplodere – meccanismo tanto caro a Strindberg a cui l’autrice si è ispirata.

Il testo, scritto da Miranda Angeli, che si è liberamente ispirata a Creditori di Strindberg, è un vero e proprio carnage, un gioco al massacro ed anche una vera e propria “danza di morte”, che si accende tra i tre personaggi in un crescendo che porta allo svelamento e all’inatteso finale. Dirò subito che il copione non mi ha convinto del tutto. Ha momenti di stallo e di ripetitività – non funzionale – che rischiano di far scemare l’attenzione dello spettatore. Fortuna che la regia di Christian Angeli e Maria Gorgoglione riesce a mantenere un ritmo serrato e trovate musicali inconsuete sì da sorreggere le parti meno “catturanti”, diciamo così. L’autrice, Miranda Angeli, è una drammaturga di venticinque anni ed ha tutto il tempo per “crescere” artisticamente. Mi permetto di dire che un testo meno spiega e meglio è; meno diventa didascalico e meglio è. Il mito di Galatea e Pigmalione è certo calzante a quanto si è voluto rappresentare, ma va espresso e non raccontato. Espresso dai dialoghi dei personaggi e fatto emergere dalle loro azioni, non narrato. Detto questo, prendo atto che l’autrice abbia avuto l’ambizione di cimentarsi in una prova impegnativa e alta.

Eppure, nonostante le mie perplessità sul testo, lo spettacolo funziona. Funziona grazie alla regia, come scrivevo sopra; funziona grazie alle musiche di Federica Clementi; funziona grazie alla scenografia di Claudio Lopez; funziona, soprattutto, grazie alla generosa disponibilità ed incisiva efficacia degli interpreti. Nervoso, sgusciante, tormentato è l’Adolf di Roberto Scorza; ambiguo, sibillino, violento è il Gustav di Andrea Lami. Ma la forza trainante dell’intera messinscena è nella coraggiosissima prova di Alessia Filiberti che incarna, nel senso più letterale della parola, una Tekla che le umiliazioni subite nell’infanzia e nell’adolescenza hanno trasformato in un individuo quasi inscalfibile ed invincibile. Recitare come ha recitato la Filiberti – per circa mezz’ora distesa supina su un catafalco rosso fuoco, nuda, coperta solo da un velo – mantenendo una misura ed una lucidità sbalorditive, nonostante l’esposizione che l’ha sottoposta ad una pericolosa fragilità, alternando toni ed atteggiamenti antitetici fra loro, mi porta a dire che questa attrice, che ho già apprezzato in precedenti spettacoli, faccia qui un ulteriore e poderoso passo avanti. Insomma, è salita di uno o più anelli nella spirale del suo percorso attoriale. E ciò va registrato. La sua Tekla, la «cicciona-cicciona-cicciona» spietatamente bullizzata dai suoi compagni di scuola quando era bambina, è ora una donna piena di talento e passione; ed è conscia di esserlo. Contrasta la volontà di distruzione che operano entrambi gli uomini nei suoi confronti con la voglia di ridere, di ballare, di farsi scattare fotografie, e con una forza ludica capace di respingere l’aggressività, nemmeno poi tanto latente, che sia Adolf sia Gustav, le scaricano addosso. La sua Tekla smuove corde profonde e, dopo, a casa, di notte, non smette di far riflettere su come amore e potere si muovano all’interno di una relazione di coppia: se c’è amore non c’è potere mentre se c’è potere non c’è (più) amore.

Alla fine, convinti e ripetuti applausi nonché urla di giubilo hanno accolto tutti e tre gli interpreti ai ringraziamenti.




Maria Antonietta Nardone © Tutti i diritti riservati


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