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Maria Antonietta Nardone

I turbamenti del giovane Jong-su


(locandina presa dal web)


BURNING – L’AMORE BRUCIA (2018)

di Lee Chang-dong

con Yoo Ah-in, Jeong Jong-seo, Steven Yeun, Kim Soo-kyung, Choi Seung-ho


«Ci sono coloro che sono affamati di cose piccole, di desideri piccoli, che possono saziare mangiando cibo e coloro che invece hanno fame non di cibo ma di cose più grandi, invisibili, cose che diano un senso alla propria esistenza». È questa la frase-chiave del film, che è un romanzo cinematografico di formazione, un vero e proprio bildungsroman, e, specificatamente, di formazione letteraria. Liberamente tratto dal racconto di Murakami Granai incendiati, il regista Lee Chang-dong trasferisce la vicenda dall’originario Giappone in Corea del Sud.

Jong-su, un giovane che coltiva l’ambizione di diventare scrittore, incontra Hae-mi, una vecchia compagna di scuola, con cui intreccia una relazione amorosa. La ragazza parte per l’Africa e gli affida il compito di badare al suo gatto. Quando ritorna non è più sola; al suo fianco c’è Ben, un giovane misterioso e ricchissimo. Si dipana così una tesa frequentazione fra i tre giovani.

Il regista punta alto e muove la narrazione tra diadi e contrapposizioni. Povertà e ricchezza, città e campagna, luce naturale (spazi aperti) e luce di interni (case, ristoranti, bar). Ed oltre alla diade realtà e finzione, quella su cui si dirama il film è soprattutto presenza e assenza. Mentre l’altro tema portante è la solitudine di certa gioventù senza slanci che cova rabbie inarginabili.

A poco a poco scopriamo che niente è come sembra. E la versione di ogni personaggio può essere vera o falsa. Realtà e finzione, realtà e immaginazione ossia l’essenza stessa della letteratura. La letteratura è una finzione, ma è una finzione che racconta la realtà più profonda della relazione dell’uomo con il mondo. L’invenzione, in arte, contiene più autenticità e “realtà” di qualsiasi fatto storicamente verificatosi.

Ed anche la scena della neve potrebbe non essere altro che la scena di un romanzo, di quel romanzo che il giovane Jong-su dice sempre di voler scrivere.

Ci sono scene di una bellezza visiva folgorante. Le corse di Jong-su nella nebbia del crepuscolo, alba o tramonto che sia, o la sua camminata nudo sulla neve. E poi il suo guardare la luce del sole sul muro di una stanzetta mentre fa l’amore con Ha-emi. Quella di Ha-emi che danza al tramonto, con il cielo arancio e violetto, sulle note di Ascensore per il patibolo di Miles Davis, rimarrà memorabile. C’è tutto, come nella poesia. C’è pienezza e appagamento. C’è il volo e il pianto dell’esistenza umana. C’è l’aspirazione alla felicità ed un dolore senza fondo. Ed io ho sentito quel vento portare i brividi alla mia pelle, alzare e scompigliare i miei capelli ed ho sentito l’odore dell’erba e l’odore della sera.

Questa scena che trasporta in una dimensione altra è così intensa che mi ha quasi fatto dimenticare la scena del film di Louis Malle, Ascensore per il patibolo per l’appunto, dove Jeanne Moreau cammina di notte per le vie illuminate dai lampioni e dalle vetrine di Parigi.

È questo un film che si prende i suoi tempi, ma che ha sequenze che continuano a fluire in testa per giorni e giorni. Forse c’è qualche ripetitività di troppo (gli appostamenti di Jong-su che spia Ben, ad esempio), ma in fondo ciò potrebbe anche alludere alla ripetitività della vita.

Come in Poetry, il magnifico film del 2010, risalta la cura e il potere delle parole. E il bisogno di giustizia, che a queste latitudini è soprattutto bisogno di equilibrio, di ristabilire l’armonia perduta. Mai dimenticare che siamo in terre profondamente buddhiste. E se in Poetry aveva addirittura un potere riparatorio – e penso alla poesia che Mi-ja riesce finalmente a scrivere solo quando è stata fatta giustizia – qui, in Burning, la parola ha un potere fortemente manipolatorio – e forse anche fortemente distruttivo.

Insomma Burning è un bellissimo film sull’inafferrabilità dell’esistenza anche da parte di chi, attraverso il cinema e/o la letteratura, avrebbe tutti gli strumenti per coglierla.





Maria Antonietta Nardone © Tutti i diritti riservati


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