Je vous salue, Godard
(Foto presa dal web)
E così anche Jean-Luc Godard se n’è andato via. Sono attonita. L'altro ieri è stata la volta di Javier Marίas, uno scrittore stratosferico, da me amatissimo, partire per il grande viaggio. Oggi, tocca all’altrettanto stratosferico regista francese di origine svizzera. Ripercorrere tutto il suo vasto e lungo percorso cinematografico, adesso, proprio non mi viene. Lo farò in un altro momento quando avrò ripristinato una maggiore serenità; quella serenità che mi è stata portata via dalla notizia della sua morte.
Così come mi sembra che, con la sua partenza da questo mondo, sia stata portata via anche la mia giovinezza. Oppure come se essa fosse stata definitivamente inchiodata, lì, nel passato, al pari di una farfalla da collezione. Mi spiego. Ho cominciato a vedere (e quindi a divorare) i film di Godard quando avevo ancora sedici anni, ossia dal 1980 in poi. Andavamo io e i miei amici un po’ più grandicelli di me all’Azzurro Scipioni, al Rialto, all’Augustus, al Capranichetta, al Gioiello, al Paris, al Quirinale, all’Alcazar e in tante altre sale romane, che ora non esistono più, a vedere film nuovi oppure film usciti negli anni precedenti, film imprescindibili di Bergman e di Vigo, di Kurosawa e di Murnau, di Buñuel e di Ozu, di Kubrick e di Romher ecc.
Tra questi si andava a vedere À bout de souffle, Vivre sa vie, Il disprezzo, La Chinoise, Prénom Carmen, Je vous salue, Marie, Allemagne 90 neuf zéro, Passion. Finita la visione, si andava a casa di qualcuno di noi, per una spaghettata, ma soprattutto per parlare del film che avevamo appena visto. Oppure, ci si sedeva sugli scalini di una chiesa o di una scuola, con una birra e un trancio di pizza, e via a parlare del film che ancora ci ballava in testa. Le discussioni poi si allargavano alla politica, alla letteratura, alla filosofia, al teatro per ritornare di nuovo al cinema, e ai tanti film visti, e ai tanti registi amati, tra cui, un posto speciale nel nostro animo, lo occupava proprio lui, lo spigoloso e coraggioso Jean-Luc Godard.
Quante discussioni, quanti sorrisi, quanti pensieri audaci sono nati in quelle freschissime serate di cui mi sembra di sentire ancora perfino l’odore dei nostri abiti profumati di bucato. Perché, sì, «c’è un tempo bellissimo tutto sudato / una stagione ribelle / l’istante in cui scocca l’unica freccia / che arriva alla volta celeste / e trafigge le stelle / è un giorno in cui tutta la gente / si tende la mano / è il medesimo istante per tutti / che sarà benedetto, io credo / da molto lontano…» come canta Fossati.
Ecco, sotto il cielo notturno di Roma, noi ci sentivamo proprio così, grazie, anche, agli incredibili stimoli suscitati dai suoi film.
Ma c’è un episodio che non ho mai dimenticato. Era un pomeriggio del 1985. Io e il mio amico del cuore avevamo deciso di andare a vedere Je vous salue, Marie al cinema Capranichetta, a piazza Montecitorio. Il film aveva suscitato polemiche asperrime. Fazioni opposte si erano date appuntamento proprio davanti al cinema, chi per impedirne l’accesso, chi, invece, per garantirne l’accesso. Arrivati in piazza, vedemmo subito un gruppo agguerrito, che innalzava striscioni con scritte che condannavano la blasfemia et similia. Ci dirigemmo verso l’entrata della sala dove si era formata una fila di spettatori in attesa di poter entrare. Per tutta la durata della fila, che è stata piuttosto lunga, siamo stati oggetto di insulti pesantissimi da parte di queste pie persone che sostenevano di difendere l’onore della religione cattolica. Alcuni hanno tentato perfino di trascinarci via per un braccio. Ma c’erano le forze dell’ordine, e non poche (eravamo pur sempre a piazza Montecitorio).
Insomma, abbiamo lottato, anche fisicamente, per andare a vedere questo film. Era quella l’epoca in cui accadeva anche questo. Era quella l’epoca in cui le discussioni intellettuali erano appassionatissime e formative. Era quella l’epoca in cui l’uscita di un film aveva la capacità di incidere nella società così com’era conformata.
Per avere solo una piccola idea del cinema di Godard, chi vuole vada a guardarsi il ballo di Sami Frey, Claude Brasseur e Anna Karina in Bande à part; se ne resta estasiati e, senza accorgersene, sembra anche a te spettatore di danzare con loro. Oppure la scena finale di À bout de souffle (uscito in Italia con il titolo Fino all’ultimo respiro) con la corsa sbilenca di un giovanissimo Jean-Paul Belmondo e quella di una Jean Seberg bella di una bellezza abbacinante che infine chiede guardando diritto in macchina:«Che significa “schifo”?».
É il cinema, bellezza! E che cinema, ragazzi!
Grazie, Jean-Luc Godard, per aver ricordato a tutti che, anche nel cinema (come nella letteratura), in un film (come in un romanzo), «una storia dovrebbe avere un inizio, uno svolgimento e una fine, ma non necessariamente in questo ordine».
Grazie di tutto, Jean-Luc Godard.
Maria Antonietta Nardone © Tutti i diritti riservati
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