La gomma che cancella la memoria
(Foto della locandina presa dal web)
THE FATHER – NULLA È COME SEMBRA
di Florian Zeller
con Anthony Hopkins, Olivia Colman, Imogen Poots, Rufus Sewell, Olivia Williams, Mark Gatiss
The Father – Nulla è come sembra, tratto da un testo teatrale, La père, di Florian Zeller, è stato riadattato per lo schermo dallo stesso autore assieme ad un altro drammaturgo e sceneggiatore, Cristopher Hampton (Le relazioni pericolose, Carrington, Poeti dall’inferno).
Parto dalla scrittura di questo film perché esso racconta con sapienza il graduale deterioramento delle facoltà cognitive di un anziano ingegnere, Anthony, ma lo fa dalla prospettiva del malato, in modo che lo spettatore si trova a provare, soprattutto all’inizio, lo stesso sconcerto e lo stesso smarrimento che prova Anthony quando crede di trovarsi un estraneo in casa, oppure quando i mobili di un appartamento e le figure delle persone care mutano e diventano irriconoscibili ai suoi occhi. Lo fa, insomma, dal punto di vista di chi perde pezzi sempre più consistenti della propria esistenza.
Ad accudire quest’uomo recalcitrante ad essere accudito, che vuole mantenere a tutti i costi la propria autonomia, c’è Anne, la figlia, che riscontra non poche difficoltà a gestire il padre e a trovare una badante che gli vada a genio.
Attraverso il percorso di corridoi con porte che danno su camere dove quasi ogni volta cambia l’arredamento ci inoltriamo nel progressivo, ma inesorabile deragliamento che patisce chi è colpito dall’Alzheimer, questa gomma implacabile che cancella la memoria, il senso del tempo – bellissima la trovata della ricerca dell’orologio perduto, rubato o nascosto – e confonde o sovrappone perfino i volti delle persone più amate.
In questo kammerspiel compatto e privo di retorica o sentimentalismo, vediamo come un uomo che sa ancora apprezzare un buon whisky bevuto tutto d’un fiato o la grande musica del coro dalla Casta diva de La Norma di Bellini o le note de Le pêcheur des perles di Bizet, non accetti di essere trattato come un incapace o un cretino nonostante il crescente disorientamento che lo affligge. Pretende rispetto. Quel rispetto che la figlia Anne non gli fa mai mancare sebbene il padre sia spesso sarcastico ed ingrato con lei, preferendole spesso l’altra figlia, Lucy, che però non viene mai a trovarlo – si scoprirà poi la vera ragione. E struggente è vedere come il padre non ricordi perché Lucy non possa venire a trovarlo, ma non abbia dimenticato l’amore che ha nutrito e che tuttora nutre per lei. La gomma malefica può cancellare notizie importanti di una persona amata, ma non può cancellare l’amore che si prova e si è provato per questa persona amata.
Ma è suo, di Anne, il dolore più consapevole ed impotente. E più forte proprio perché impotente. È del resto noto, per chi si occupi o conosca bene la condizione dell’Alzheimer, che sono proprio i famigliari ad avere bisogno di un qualificato sostegno psicologico perché sono loro che sperimentano la morte dell’io dell’amato prima ancora che sopravvenga la morte stessa. E questa esperienza non è solo faticosa e/o disperante è anche, purtroppo, pericolosamente schizogena.
Il film, diretto dallo stesso Zeller al suo esordio come regista, punta tutto sulla qualità della sceneggiatura e, soprattutto, sulle prove attoriali di Anthony Hopkins e Olivia Colman – a me è piaciuta molto anche Imogen Poots che fa la badante che assomiglia alla figlia. Hopkins è maestoso nell’essere un padre ora acuto ora smarrito, ora affettuoso ora respingente, ora affascinante ora insopportabile fino alla regressione della toccante scena pre-finale quando va tranquillizzato come un bambino spaventato. Olivia Colman è stratosferica nel rendere la rassegnata disperazione della figlia e recita anche con le dita che raccolgono dal pavimento i cocci di una tazza da tè o col collo reclinato mentre sbatte le uova per la colazione. Sul suo volto, poi, trascorre tutto il dolore, l’impotenza, il senso di colpa, ma soprattutto, l’amore e la dedizione filiale. La scena in cui il padre finalmente le accarezza la guancia con amore, quasi aggrappandosi al suo volto come ad una zattera salvifica, è tanto commovente quanto imperdibile.
Non è facile fare un film su questi temi legati all’Alzheimer e alla riflessione che pone sulla realtà e sulla finzione (sul senso della realtà e sullo stato di allucinazione) senza ricorrere ad un patetismo ricattatorio e furbastro eppure Zeller ci è riuscito. Inoltre, non c’è tristezza in questo film. Sconcerto, smarrimento, dolore, ansia, disperazione, ma non tristezza.
Nei film dedicati a questi temi che ho visto nel tempo c’era in tutti un’insostenibile, soffocante tristezza. C’era in Away from her – Lontano da lei (2006), c’era in Amour (2012) – anche se qui l’anziana signora interpretata da Emmanuelle Riva era stata colpita da un ictus –, c’era in Still Alice (2014). E c’era anche in Iris – Un amore vero (2001) dove una grandiosa Judi Dench interpretava la scrittrice Iris Murdoch – Kate Winslet invece era Murdoch da giovane – accanto ad un altrettanto grandioso Jim Broadbent nel ruolo del marito della scrittrice.
L’Alzheimer, la demenza senile o le malattie neurodegenerative sono un attacco alla persona che si è e si è stati che è drammatico ed angoscioso per qualsiasi individuo ne sia colpito – e ancora di più per i suoi famigliari, come ho scritto sopra. Certo, quando ad essere colpito è uno scrittore, come accadde ad Iris Murdoch, fa ancora più impressione. Perché quella facoltà di intrecciare pensieri e parole, memorie ed immaginazioni che si fanno letteratura viene a mancare fino a svanire. Non solo è colpito l’individuo, ma è anche annientato l’artista che quell’individuo è – o, sarebbe meglio dire, è stato. L’artista che conosce il confine sottile che separa la realtà dall’irrealtà, l’autenticità dalla finzione, la “verità” dalla menzogna.
Poli su cui si è mosso con grande efficacia persuasiva, fino allo svelamento finale, anche questo stesso primo film di Florian Zeller. Un film davvero umanissimo, che cattura e commuove.
Maria Antonietta Nardone © Tutti i diritti riservati
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