Prigionia reale
(Foto della locandina presa dal web)
LE DÉLUGE – GLI ULTIMI GIORNI DI MARIA ANTONIETTA
di Gianluca Jodice
con Guillaume Canet, Mélanie Laurent, Aurore Broutin, Roxane Duran, Fabrizio Rongione, Hugo Dillon, Tom Hudson, Anouk Darwin Homewood, Vidal Arzoni
Diviso in tre capitoli “Gli Dèi”, “Gli uomini”, “I morti”, il film diretto da Gianluca Jodice è sorprendente e coinvolgente allo stesso tempo. Certo, ravvisererei un’inesattezza nel titolo, dal momento che in realtà, sono narrati gli ultimi giorni di Luigi XVI – Maria Antonietta sarà ghigliottinata dieci mesi dopo la morte del marito. Ma questa è poca cosa. Il film è davvero bello e catturante.
Siamo nel 1792. Il re Luigi XVI, la regina Maria Antonietta, con i figli Luigi Carlo e Maria Teresa, vengono arrestati e portati nella Torre del Tempio dalla Convenzione nazionale; con loro ci sono Madame de Lamballe, Elisabeth, l’addetto al re Cléry.
Da questo momento vediamo la graduale trasformazione di tutti i personaggi che devono affrontare una realtà non solo inaspettata ma proprio inconcepibile.
Ripetere le parole di una parte che non si conosce, del tutto inedita, che porta ansia e paura. Perché tutto sta cambiando. È l’inizio del film, con il giovane procuratore Manuel che ripete le frasi che dovrà pronunciare rivolgendosi al re. E il re stesso, più oltre, che ripete a se stesso le frasi da pronunciare al suo processo – frasi di discolpa e di giustificazione.
Tutte e due le parti, quindi, i rivoluzionari e i monarchi, cercano di imparare una parte nuova, mai data, del tutto inedita, che cambierà il corso della storia europea, e non solo.
E se non poche saranno le umiliazioni e le vessazioni che la famiglia reale dovrà subire durante la prigionia da carcerieri piuttosto rudi (la biancheria pulita che non arriva mai, la spoliazione dei vessilli regali, il mangiare il cibo senza posate) d’altro canto è comprensibile il desiderio di rivalsa di Henri, il Capitano: il contrasto tra le luci di Versailles che spiava un tempo da fuori e la sua casa fredda e senza cibo dove ha trovato la morte il figlioletto di due anni, è lampante e straziante ad un tempo. Del resto, l’invisibilità degli oppressi (e di chi è stato oppresso) non è certo una novità.
Quello che mi ha più colpito, nel film, è l’incapacità di Luigi XVI (perché per lui del tutto inconcepibile) di comprendere le ragioni dei rivoluzionari mentre Maria Antonietta, dopo i primi momenti di chiusa alterigia, sembra risultare più capace di adattamento – ne è esempio evidente il dialogo con Cléry e le sue domande su quanto sia difficile pulire una casa o cucinare.
Quello che mi ha colpito, nel film, è anche come sia la debolezza di Luigi XVI sia la superbia di Maria Antonietta siano raccontate con equilibrio e senza ricorrere ad alcun intento macchiettistico; con lo stesso equilibrio è raccontato l’affetto del re per i suoi figli, Luigi Carlo e Maria Teresa, e il dolore di Maria Antonietta per la sorte di tutta la sua famiglia. E tra re e regina, tra moglie e marito (all’inizio della prigionia lontanissimi l’uno dall’altra) scatta una vera e propria resa dei conti personale, uno svelamento della loro stessa relazione d’amore (o disamore).
Molto raffinata ed asciutta è la sceneggiatura firmata da Filippo Gravino e lo stesso Gianluca Jodice – a parte quella battuta, alla domanda del re «chi siete?» a cui un rivoluzionario risponde con « siamo l’umanità, Maestà» che, insomma, ha una retorica stonata che parla da sé.
Film di quasi solo interni, che diventano via via più scuri e piccoli, a simboleggiare un corso dell’esistenza che si sta oscurando ed assottigliando fino alla morte, eccetto qualche splendida inquadratura dei giardini e dei vialetti della reggia in cui i reali sono tenuti prigionieri.
Sono rimasta sorpresa dalla capacità di visione del regista Gianluca Jodice che ci ha regalato inquadrature magnifiche, originali, elegantissime, che in qualche momento, e non sembri un’eresia, lo hanno accostato alla grande maestria formale di Kubrick.
Mi è piaciuta molto la fotografia di Daniele Cipri, ora fredda, ora nitida e netta, ora calda e pastosa, soprattutto negli spazi più angusti per non parlare della suggestiva illuminazione delle candele in alcune scene.
Così come mi è piaciuta la scenografia di Tonino Zera, frugale negli interni, geometrica negli esterni (il film è stato girato nelle regge sabaude, come ad esempio quella di Venaria).
E i costumi, magnifici, di Massimo Cantini Parrini (i dettagli nella vestizione di Maria Antonietta sono di una sublime raffinatezza e di grande espressività). E dove l’uso dei colori dei vestiti rivestono un grande significato simbolico: oro per il re, argento per la regina, a sottolineare la loro natura regale di discendenza divina, nero per Madame Elisabeth, la cognata, così occhiuta e bigotta.
Gli interpreti sono stati tutti bravissimi ed efficaci. Ma Guillaume Canet e Mélanie Laurent si sono superati. Canet dona al suo Luigi XVI una mitezza d’animo, una dolcezza per i figli e per la stessa moglie che commuovono. Mélanie Laurent dà alla sua Maria Antonietta una lucida intelligenza, una determinazione ed un affetto per i figli che la porta a cedere al più schifoso dei ricatti che una donna possa subire, che smascherano la vulgata di una regina tutta frizzi, vezzi e lussi. Del resto Maria Antonietta d’Asburgo-Lorena era consapevole di non essere mai stata pienamente accettata dai francesi ed era soprannominata con disprezzo “l’Austriaca”.
Un film inconsueto, singolare eppure coinvolgente che ci ha offerto la possibilità di gettare uno sguardo sul periodo di prigionia dell’ultimo re e dell’ultima regina di Francia, colti nei momenti più drammatici della loro esistenza, ed in tutta la loro complessa e fragile umanità.
Quando, alla fine, si vede il volto segnato dalle cicatrici di Robespierre, e si ode la frase «noi che portammo la gentilezza, non potemmo essere gentili», lo spettatore prende atto che il corso della storia è irrimediabilmente mutato: l’Ancien régime è morto.
Nota storica:
Luigi XVI viene ghigliottinato il 21 gennaio 1793 a Place de la Concorde a Parigi.
Maria Antonietta viene ghigliottinata il 16 ottobre 1793 a Place de la Révolution a Parigi.
Il figlio Luigi Carlo morirà di tubercolosi a dieci anni, l’8 giugno 1795.
La figlia Maria Teresa, detta Madame Royale, verrà accolta dalla famiglia della madre a Vienna. È l’unica a sopravvivere.
Maria Antonietta Nardone © Tutti i diritti riservati
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